Come ha commentato giustamenteRoberta, l'evento non è italia.it ma ciò che ha scatenato e scatenerà.
Mentre la stampa mainstream si concentrava sulla crisi di governo, ignorando più o meno del tutto l'apertura del portale (altro che agendasetting, questi hanno fatto saltare il governo per depistarci, ma noi non ci siamo cascati ;-), noialtri qua abbiamo non solo criticato, ma anche iniziato a porre rimedio.
C'è chi ha aperto un blog per raccogliere le critiche e seguire il dipanarsi della vicenda, chi un wiki per iniziare a creare un nuovo sito, chi ha ricostruito la home page uguale identica, ma usando i CSS come dovrebbero essere usati, chi ha avviato un'iniziativa per fare dell'Italia un logo migliore.
Adesso basta avviare un'iniziativa per farci ridare i soldi dall'IBM, e tutto è risolto.
Abbiamo deciso di affittare un nuovo posto macchina sotto l'ufficio.
Per il contratto servono 119,81 Euro in marche da bollo (più 1,81 di bollo sulla ricevuta della tabaccheria, visto che si supera l'importo di 76 euro).
Ecco le marche da bollo:
Come vedete non sono quelle vecchie cose stampate dalla zecca, queste sono nuove marche da bollo che stampa direttamente il tabaccaio. Così non rimangono mai senza. Perché noi siamo un paese moderno... cosa credete?
I commenti su Italia.it oggi si sprecano, come non continuare a contribuire? Dando un'occhiata alla struttura delle pagine del portale ho scoperto che sono basate pesantemente su tabelle.
Cerco di spiegare per quelli che non passano il loro tempo nel CSS Zen Garden.
All'inizio fu l'html. Con l'html non si poteva decidere dove testi e immagini dovessero apparire sulla pagina, si mettevano in sequenza e i browser decidevano dove e come visualizzare i contenuti. Questo dispiaceva ai grafici.
Allora il signore (non "quel" signore, un signore che programmava i browser) creò le tabelle. Le tabelle dovevano inizialmente servire per visualizzare dati intabellati, tipo excel, ma presto i grafici scoprirono che le tabelle potevano anche essere usate per dividere le pagine di inverse parti e decidere di far apparire i diversi contenuti in aree specifiche della pagina usando le caselle di una tabella.
Più i grafici diventavano abili a usare le tabelle, più i clienti chiedevano soluzioni grafiche che nessuno aveva mai pensato che i browser avrebbero dovuto gestire. Così i grafici mettevano delle tabelle dentro altre tabelle, dentro altre tabelle, dentro altre tabelle, per dividere le pagine in spazi sempre più piccoli in modo da poter controllare con sempre più precisione i propri contenuti. Si trattava di un trucco, le tabelle non erano state create per questo, però funzionava.
Poi finì il secolo, e il signore creò i Cascading Style Sheets (CSS per gli amici). Con i CSS era possibile decidere dove le cose dovevano apparire sulla pagina in modo chiaro ed elegante con una riga di codice. Bastavano pochi comandi e un pochi secondi un titolo cambiava forma e si spostava esattamente nell'angolo della pagina in cui il grafico lo voleva (su Firefox... su Internet Explorer bisognava lavorare altre due ore, poi un altro signore creò Internet Explorer 7 e rese la vita dei grafici ancora più miserabile... ma questa è un'altra storia).
Con la nascita dei CSS si crearono due fazioni di web designer: coloro che cercavano purezza ed eleganza con gli stili e coloro che continuavano a usare le tabelle, perché anche se non era semanticamente corretto, loro ormai avevano imparato a fare così.
Giunti ai giorni nostri, una parte consistene dei web designer più bravi si ormai si è spostata nel campo del "tableless design", perché usare propriamente i fogli stile effettivamente offre diversi vantaggi tecnici e di accessibilità ai siti web.
Tutto questo per dire che sono rimasto un po' meravigliato (ma neanche poi tanto) nello scoprire che i contenuti nella home page del portale Italia.it, proprio come negli anni 90, sono messi in tabelle, dentro tabelle, dentro tabelle, dentro tabelle, dentro tabelle....
Non vi immaginate quanto mi faccia piacere scoprire che dopo anni di attesa e investimenti smisurati, il portale dell'Italia presentato oggi ha una intro in flash di 15 secondi. Proprio quello che ci voleva. Superata la intro c'è un video. Superato il quale c'è un'animazione in flash. Superata la quale si arriva alla home page. Per il resto, data una prima occhiata piuttosto superficiale, mi sembra un portale top-down con niente di niente di speciale.
Qualcuno potrebbe dire che siamo tutti grafici e web designer davanti a questo sito, come siamo tutti commissari tecnici durante i mondiali, ma per quanto possa solo vagamente immaginare le complesse forze politiche e burocrazie che hanno influenzato lo sviluppo di questo sito, non posso che notare che il risultato finale è deludente. Tutto sommato la mia idea su come spendere 'sti soldi era migliore. Sigh.
Non è che leggendo questo articolo su Trieste possiate veramente capire la città, ma ve ne potete senza dubbio fare un'idea. Poi organizzate una gita e avvertitemi quando venite. Per rispondere anticipatamente a vere domande che mi sono state fatte in giro per l'Italia: no, non serve il passaporto per venire a Trieste e no, non c'è un ponte che la congiunge con Trento ;-)
Ieri ho letto questo post di Massimo a proposito del nuovo logo per le campagne promozionali sul turismo in Italia sul mio cellulare attraverso l'aggregatore (quindi senza immagini) mentre aspettavo Lele in mezzo a una strada a Milano.
Ho ruminato su un post con cui rispondere a Massimo per tutto il lungo tragitto di ritorno. Ma che cosa pensa che siano 100 mila euro? Progettare un marchio non è mica facile! Poi bisogna progettare la declinazione del marchio nei vari casi, l'applicazione su diversi mezzi, sviluppare manuali per l'immagine coordinata, valutarne il gradimento... insomma, 100mila euro non sono pochi ma non sono neanche un'esagerazione, molti marchi di aziende note sono costati ordini di grandezza di più, e qua stiamo parlando della promozione dell'Italia nel mondo, una delle risorse principali, bla, bla, bla, bla...
Poi sono arrivato a casa, ho visto il marchio e... altro che 100mila euro, manco 100 euro dovevano pagare per 'sta schifezza!
PS: ho come la sensazione che il portale italia.it oggi non lo presentino più.
Spinto dall'intensa campagna promozionale di Luca e Massimo (e poi dicono che la pubblicità sui blog non funziona), sono andato anch'io a vedere il sito del Corriere.
Tra le cose più interessanti c'è il famoso video della professoressa, che è stato prontamente rimosso da YouTube, ma che il Corriere pubblica ancora (però censurato, le parti "hot" sono sfocate). Ma la cosa più divertente è il banner della Banca di Roma, montato sia prima del video, sia visualizzato nella pagina, che recita: "Ci metti passione nei tuoi sogni? Anche noi, per farteli vivere. Giovani, Banca di Roma".
Mafe: E' il momento di guardare al presente e vicino, non al futuro e
lontano: sono anni (per quanto mi riguarda quasi dieci) che diciamo che la rete può cambiare il mondo, oggi ci chiedono di farlo e ci pagano pure, sarebbe criminale continuare a usare futuri, condizionali e congiuntivi.
Sono d'accordo: il mercato è molto più recettivo di quanto fosse solo qualche mese fa ed è vero che capita sempre più spesso che ci venga chiesto di sviluppare soluzioni che l'anno scorso stentavamo a far capire. Quindi, pur restando ancora enormi sacche di ignoranza che richiederanno anni di evangelizzazione, approvo la mozione di Mafe: passiamo al presente!
Stefano Quintarelli segnala un articolo su TimesOnline secondo cui blog finti in cui finti clienti lodano sperticatamente i prodotti di aziende vere sarebbero illegali per le norme europee a tutela dei consumatori.
Io credo che sarebbe meglio che le aziende non tentassero questa strada perché è stupido, non funziona e normalmente danneggia la loro immagine. Ma anche una legge che tolga la tentazione mi va bene.
Condivisibilissima la lista di suggerimenti per i ggiovani di Carlo. L'unico mio dubbio è sulle scarpe nere. A meno che non siate nella city, secondo me di giorno le scarpe, rigorosamente di taglio Oxford - francesina, vanno marrone scuro, non nero.
Io ho sempre avuto stile, fin dagli anni '70. Guardate un po' qua:
Carlo Felice Dalla Pasqua parla di Gorizia Oggi, dando alcuni utili suggerimenti all'autrice dell'iniziativa. Secondo me però perde di vista alcuni punti importanti.
Lascio ad altri la discussione su cosa sia la "buona informazione" e se effettivamente questa si trovi nei quotidiani di provincia, mi limito a fare alcune considerazioni personali da lettore di Gorizia Oggi:
Non sono mai stato così informato su cosa succede in città. Come ho scritto ho tempo di leggere un giornale cartaceo e non esiste alcuna redazione che mi fornisca informazioni gratuitamente in modo compatibile agli strumenti che uso normalmente io per informarmi (in altre parole: un feed RSS).
Partendo da questa osservazione, al contrario di Carlo Felice io credo che una persona possa tranquillamente coprire la cronaca di una piccola città come Gorizia. Magari sfuggiranno alcune notizie, magari ne sfuggiranno molte, ma è molto meglio del nulla con cui si confronta.
Speriamo che presto ci sia più di un sito a cui ricorrere. Ormai non credo ad un singolo fornitore per tutte le mie informazioni, sono più che contente di confezionarmi la mia "redazione" pescando in giro.
E no, non vorrei mai che ci fosse "qualche piccolo o grande imprenditore locale disposto a finanziare un progetto di sviluppo". Se non ci sono soldi per mantenere una redazione, non ci sono e basta. Significa che un imprenditore finanzierebbe un progetto di questo tipo non per guadagnarci ma per controllarlo. No grazie.
In pratica: i lettori sono contenti del prodotto Gorizia Oggi (e non sono solo io, diversi amici me ne hanno parlato benissimo), non c'è dubbio che ci sono ampi spazi di crescita, ad esempio io credo che dovrebbe avere un taglio più personale, da Blogger, ma comunque sia cerchiamo di guardare in direzioni nuove, e non è detto che la redazione di un quotidiano sponsorizzata da un imprenditorotto locale sia l'unica soluzione al problema dell'informazione nei piccoli centri.
Mentre ero al telefono con un cliente ho sparato la vecchia battuta pubblicitaria "perchè noi siamo scienza, non fantascienza".
Ma siccome viviamo nell'era di internet e lo spot originale (di Telefunken, non me lo ricordavo) era ad un paio di click di distanza, adesso è da mezz'ora che lo mostro a tutti quelli che passano. Quindi ve lo beccate anche voi. In diretta dal 1981.
In poche parole Marco si chiede "cosa succede dei nostri dati se una delle mille startup a cui li abbiamo affidati dovesse chiudere?".
E' una buona domanda, e io mi chiederei anche qualcosa di più: "se io decido di spostare i miei dati da un servizio all'altro, anche senza che il primo stia chiudendo, posso farlo agevolmente?".
Il problema è relativamente meno importante su piattaforme come Flickr o YouTube dove i contenuti originali di solito vengono creati sul computer dell'utente prima di essere caricati, e quindi esiste sempre una versione ad alta risoluzione in locale.
Ma che dire di quei siti in cui i contenuti vengono prodotti direttamente on-line? Materiali come i post di un blog, le reti di relazioni sui siti di social networking, la posta in un'applicazione di web mail o il testo scritto sulla pagina di un wiki generalmente esistono solo sul server di chi offre il servizio, e spesso e volentieri non è per niente semplice ottenerne una copia.
Per alcuni fornitori questo è un sistema per rendere più difficile ai clienti abbandonare il servizio (nessuno ha voglia di ricreare tutto ex novo da un'altra parte), e in alcuni casi questi considerano i contenuti una proprietà comune tra l'utente e il fornitore stesso, come nel caso di alcuni siti si social networking.
Ci sono numerosissime iniziative per la creazione di standard e API aperti in tutti gli ambiti del publishing on-line che hanno lo scopo sia di rendere facile e compatibile l'esportazione dei dati, sia di poterne avere una copia di backup, sia per poter eventualmente migrare da una piattaforma ad un'altra. Ovviamente qualcuno li adotta, qualcuno no.
In uno scenario in cui è sempre più evidente che gli utenti usano servizi diversi per gestire contenuti diversi (anche i più grandi non pensano più di poter amministrare l'intera vita digitale dei propri utenti), emerge sia la necessità tecnica di far interagire queste piattaforme, sia il bisogno di sensibilizzare gli utenti su questi temi.
Sempre più persone in rete diventano creatori e non solo consumatori, temi come il copyright non si applicano più solamente a Disney e Topolino ma a noi stessi, ed è opportuno che si inizi al più presto a prendere coscienza dei diritti che abbiamo su ciò che creiamo e su come amministrarli prima di trovarcene privati.
Quindi prima di iniziare a caricare la vostra vita sul prossimo Digital Lifestyle Aggregator di moda, assicuratevi di potervela anche riprendere.
In un pomeriggio del 1994 andai a trovare Guido a Trieste non mi ricordo più per quale motivo. Lui per la prima volta mi fece vedere il web. E per me niente è stato più come prima.
Dopo aver fatto un certo numero di telefonate al 190 per riuscire a farmi attivare la scheda, finalmente la mia Vodafone Internet Box funziona. La velocità di connessione è eccellente, e potersi collegare a Internet ovunque è interessante.
Adesso per esempio sono seduto in macchina, fuori dalla sede di un cliente, che verifico la posta elettronica prima di andare ad un appuntamento. Certo, si viveva bene anche prima, ma credo che presto quest'idea di essere in rete ovunque diventerà irrinunciabile.
Leggo sul Corriere: "Cervello di Google scomparso in mare": un ricercatore americano esce con la sua barca per disperdere le ceneri della madre e non fa ritorno.
Non mi ricordo di aver mai sentito parlare di questo Jim Gray di Google, così cerco un po' in giro. Jim Gray è un ricercatore di Microsoft. L'articolo del Corriere dice che "Le tecnologie basate sui suoi studi rappresentano il cuore di programmi come Google Earth". In realtà non trovo traccia di questo tipo di lavori nella sua biografia su Wikipedia, però questo articolo su Mercury News dice che "Google engineers are also helping in search by looking at their Google Earth satellite photos".
Cosa non si farebbe pur di mettere google in un titolo, eh?
Nicola Bertrand Mattina ha avuto un'idea interessante a a proposito le recenti polemiche sui risultati elettorali: se un numero significativo di cittadini si recasse presso il proprio comune per chiedere una copia dei verbali delle sezioni elettorali (che dovrebbero essere atti pubblici) e pubblicasse in rete questi documenti, si potrebbe rapidamente verificare in modo oggettivo i risultati elettorali.
Come dice Nicola, sarebbe un ottimo esempio di "democrazia 2.0" (ma io temo che per ora ci manchino i cittadini 2.0).
Comunque Nicola non si è limitato a parlarne e ha fatto richiesta dei verbail al comune di Roma. E questi hanno rifiutato. Dice:
Adesso, ho bisogno dell’assistenza di un esperto che mi aiuti a capire se il diniego del Comune di Roma non mi permette di accedere ai verbali perché la legge non lo prevede, oppure se si tratta di un tentativo di fare melina. Il mio obiettivo è innanzitutto fornire le indicazioni che permettano a chiunque di richiedere con successo una copia dei verbali della propria circoscrizione.