E' vero: durante la new economy 1.0 mentre lui nella sua startup spendeva miliardi per comprare tecnologia non supportata in America, io tentavo di sviluppare la stessa tecnologia nella mia startup 1.0 da vendere con prezzi e modi europei. Ovviamente la mia tecnologia veniva ignorata dalla gran parte delle aziende (ad eccezione della sua) che preferivano spendere un sacco di soldi per comprare roba che non avrebbero mai fatto funzionare.
Ho visto aziende venire costituite, spendere miliardi in licenze software e chiudere prima di riuscire a pubblicare una singola pagina html; bastimenti in fiamme al largo delle porte di Orione...
Ma è anche vero che una parte importante di questo web 2.0 (se vi irrita il nome chiamiamola quest'epoca tecnologica) è la componente sociale, non quella tecnologica o economica. Sebbene la penetrazione di Internet in Italia sia a livello da terzo mondo e non ci sia decisamente il tipo di cultura informatica che si trova in California o nel Nord dell'Europa, credo che anche l'Italia possa partecipare a questa fase di sviluppo facendo leva sulle proprie peculiarità.
Un mercato fatto da una maggioranza di piccole aziende potrebbe avere enormi vantaggi dall'adozione di applicazioni cedute in forma di servizio, dell'open source, di nuove forme per condividere la conoscenza e della viralità delle idee che caratterizzano questo web 2.0. Senz'altro almeno inizialmente non sarà la maggioranza ad abbracciare queste tecnologie, ma sono sempre le minoranze quelle che esplorano le nuove vie.
In altre parole è inutile illudersi di essere in California, ma non bisogna neanche rinunciare a tutto e mettersi a vendere suonerie solo perché sembra che al momento agli italiani non interessi altro.
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